domenica 8 gennaio 2012

domenica 11 settembre 2011

RECENSIONI

L’Unità Rossella Battisti Radio cronache dall'abisso scuotono la platea del Festival ”Inequilibrio”, di Castiglioncello: è l'Orestea pop di Peppino Mazzotta, uno strepitoso racconto per microfono e dj trasformista, che assume di volta in volta le sembianze degli eroi principali. A riscriverla «sceneggiatura» degli Atridi per “Radio Argo” è Igor Esposito drammaturgo e poeta (si sente) napoletano che ne fa una partitura compatta di primi piani, una messa a fuoco di pulsioni nervose e primitive, scavando nella natura dei personaggi, affidati tutti , appunto, a un unico in- interprete. Mazzotta è un volto d'attore conosciuto e versatile al cinema, dove lo ritroviamo sia nella drammatica coralità di “Noi credevamo” di Martone che nello scanzonato “Cado dalle nubi” di Checco Zalone. Ma anche popolare compresenza accanto a Luca Zingaretti nel Montalbano televisivo. Nel suo farsi teatro però, l'attore, che qui è anche regista, sceglie di occultarsi dietro schermate impermeabili o grandi occhiali, le cuffie da fonico o bende che coprono il volto. È la voce a spingersi in avanti, a mettere sotto la luce confessioni interiori, squarci osceni dell'anima, mentre il corpo si rattrappisce e si contorce su sedie a rotelle senza per questo rinunciare all'uno o all'altro umore. Così come instabile e precario è il destino di Ifigenia, colta nella sua primavera di bimba bella e incantata dal suo papà, forte e buono, da sposare non appena la mamma muore. Cè, nelle sue parole infantili, già un presagio di morte instillato, l'ombra che accompagna i passi degli Atridi. Un cappuccetto rosso è Ifigenia, che va incontro al macello, tra lampi visionari color sangue, artigli rapaci e polli sacrificali che Fabio laquone e Luca Attili le disegnano alle spalle in spettrali proiezioni. Rivelando quel che davvero è “radio Argo”: un Ade oscuro, dove si scivola nella tragedia scandita temporalmente dal dj e fatta avanzare da ritratti fantasmi. Clitennestra, madre ferita e donna umiliata che cerca la sua rivincita nel languido playboy Egisto. Agamennone un UBU infoiato di potere, Cassandra icona di tutte le vittime di guerra. Infine Oreste come un altro Amleto, spinto alla vendetta. Principe per caso, pallido matricida per forza, un nato perdente a cui non interessava la corona ma solo respirare aria di mare sulla spiaggia, o forse, semplicemente, essere felice. Mazzotta incarna ogni cammeo con diversa intensità e sorprendente mutevolezza. all'interno di un'intelaiatura classica dagli echi contemporanei che va dal gossip dei media (la radio) alle confessioni da grande fratello alla platea. Operazione di squadra riuscitissima.

venerdì 8 luglio 2011




Una voce, sola, catturata da un microfono e lanciata nella notte, vaga di ripetitore in ripetitore, alla ricerca di orecchie che vogliano sentirla; una voce come il fuoco impetuoso e affannato che rimbalzò da Troia fino ad Argo, su valli, colli e montagne, per annunciare, ad occhi che volessero vedere, il ritorno vittorioso della flotta Greca.
Una voce nel cuore della notte, desolata, impotente, che tiene compagnia a chi non riesce a dormire. Un suono modulato e amplificato che dà corpo a una voce. Una voce che si fa suono e si mescola ad altri suoni, che “voce” non sono, per evocare altre voci e altri corpi. Una voce lontana, che sa farsi vicina e familiare. Una voce che dà voce alle nostre passioni. Le nostre distrazioni. I nostri inganni. Le nostre guerre. I nostri morti. Le nostre vendette. Le nostre sconfitte.
Una voce che si fa carico della memoria; preoccupata che il ricordo si sbiadisca.  Perché la memoria è una gatta che non si affeziona a nessuno e all’improvviso può scomparire e lasciarci orfani. 

Igor Esposito racconta la sua storia attraverso sei voci – Ifigenia, Egisto, Clitennestra, Agamennone, Cassandra, Oreste - che si rincorrono in un "valzer di fantasmi". Fantasmi che tornano in vita, che tornano in voce per spiegarci "l’arcano passato da cui veniamo" e il presente in cui navighiamo. L'autore racconta con prepotenza, con un linguaggio forte e deciso, senza mezze misure; quasi volesse prendere le distanze dalla cronaca contemporanea che ci insinua notte e giorno, offrendoci ogni pruriginoso e inutile dettaglio di tragedie quotidiane che si consumano lontane. Igor Esposito vuole farci dimenticare il linguaggio edulcorato, diluito e politicamente corretto di quelle cronache e torna ad un parlare franco senza censure nè compremessi dettati dal calcolo o l’interesse. E così facendo ci fa sentire di nuovo il pericolo della realtà che ogni giorno attraversiamo, ce la fa assaporare fino in fondo in un processo di smascheramento continuo e inesorabile. Ci mette a disagio, abituati come siamo alla distanza tra noi e le cose, tra noi e le persone.
Peppino Mazzotta